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L’Arco di Traiano celebra i 19 secoli
Elevato a simbolo della città, l’Arco di Traiano a Benevento esprime una stretta simbiosi con la gente del Sannio forgiando un aggregato senza pari in termini culturali e iconografici. E ciò appare qualcosa di meraviglioso, avendo resistito all’incuria del tempo e alle manomissioni umane da ben diciannove secoli. La sua squadrata architettura - composta da marmi colonne intarsi bassorilievi e trabeazioni - non accusa alcuna pesantezza ma offre una visione e un senso di staticità da cui si sprigionano forza e bellezza. Un’opera d’arte straordinariamente positiva, sintesi di valori che non periscono mai. Si tratta davvero di un’autentica espressione di civile ragguaglio[1]. Non a caso, con l’icastica semplicità dell’autentico studioso, Giovanni de Nicastro, così inquadrava il monumento: Et quod maximum Benevento decus superaddit, ac ornamentum, id est ... celebrem Arcum, Auream Portam noncupatum, nobile trophaeum, quod usque adhuc Civium ac exterorum admirationem sibi vendicat[2]. Mentre un altro beneventano appassionato di cose antiche, Giovanni de Vita, aggiungeva: Digna profecto res, atque omnibus jamdiu exoptata, ut singolare opus, quod pretio suo vere auro contra estimando, jure meritoque Porta Aurea nomen sibi peperit on universo tandem terrarum Orbe spectandum, suspiciendumque se praebeat[3].
L’Arco di Benevento primeggia non solo per la perfetta conservazione ma in quanto racchiude nella sua iconografia una serie di elementi che, nella loro varietà, sintetizzano la vita e le opere del grande uomo d’arme e facitore di pace figlio adottivo dell’imperatore Nerva. Cosicché, per numerosi motivi concorrenti - la posizione ambientale, lo splendore artistico, la decorazione incomparabile - sin dall’epoca medioevale a questo monumento è stato attribuito l’appellativo di Porta Aurea. Lo stesso titolo che distinguono l’arco romano di Pola città dell’italianissima Istria (annessa alla vicina Croazia soltanto per motivi scorrettamente politici) e l’accesso principale attraverso le mura di terra a Costantinopoli, oggi Istanbul, il cui nome si richiamava alle ricorrenti cerimonie trionfali (i turchi la chiamano Altinkapi).
A questo punto conviene ricordare che nel mondo odierno esistono decine e decine di manufatti a forma di arco che sottolineano la passata grandezza di Roma. E quasi tutti sono celebri per bellezza, rilevanza strutturale e stato di conservazione: il pensiero corre sulle opere che ricordano Tito, Settimio Severo, Costantino, Giano nella Città Eterna, che onorano l’imperatore Adriano sulla via consolare di Capua (oggi Santa Maria Capua Vetere) e il divo Augusto in quattro luoghi diversi: Fano, Rimini, Susa e Aosta. E sono addirittura cinque quelli che testimoniano l’Optimus Princeps,vale a dire il magnanimo Traiano[4]. Tutti questi monumenti posseggono storie diverse ma sono uniti dallo stesso filo conduttore di eternate nei secoli il grande imperatore: trionfi militari concessione di cittadinanze, apertura di strade, ampliamento di porti, emanazione di editti. Ed oggi li possiamo ammirare, tre di essi in Italia tra Ancona[5], Benevento e Canosa[6], mentre gli altri due si trovano nell’Africa mediterranea precisamente a Mactaris[7] in Tunisia e a Timgad[8] in Algeria.
Soffermiamoci sull’arco beneventano. Esso ha forma squadrata, possiede un solo fornice alto 15,60 metri e largo 8,60 metri, e presenta su ciascuna facciata quattro semicolonne, disposte sugli angoli dei piloni per sorreggere una trabeazione poggiata sull’architrave oltre la quale si trova un attico, sporgente nella parte centrale, con un vano interno coperto da volta a botte. Il manufatto è tutto costituito da blocchi di pietra calcarea, rivestiti da pannelli in marmo pario. Secondo la tradizione il disegno sarebbe stato eseguito da Apollodoro di Damasco[9]. Sull’attico di entrambe le facciate è ripetuta la dedica all’imperatore[10]. Secondo la tradizione avvalorata da incisioni sulla pietra e da fonti letterarie, questo arco venne costruito tra il 114 e il 117 d. C.; ha pertanto un’anzianità di diciannove secoli e in questo lungo lasso di tempo ha reso memorabile la figura dell'imperatore. Per quale motivo il Senato e il popolo romano, d’intesa con la gente sannita, decise di erigere il monumento? Era un modo per testimoniare la validità del suo governo [11] che aveva portato Roma alla sua massima estensione imperiale. Inoltre si voleva mettere in risalto la costruzione di un nuovo collegamento stradale attraverso l’Appennino che, abbreviando il percorso e attenuando le asperità montuose, garantiva un cammino più spedito tra Benevento e la Puglia. Scendendo dalla porta, qualche centinaio di metri più a valle - dopo aver scavalcato il torrente S. Nicola all’altezza del Ponticello - si apriva il percorso verso il mare Adriatico con la possibilità di avvalersi di tre distinti itinerari: la via Egnazia utilizzabile in particolare per raggiungere il Tavoliere; l’antica Appia regina viarum con sbocco sul porto di Brundisium attraverso un tortuoso giro che toccava la Lucania; e questa nuovissima via Traianea che puntava direttamente verso il mare collegando lo snodo sannita ai porti sulla costa orientale della penisola. Leggiamo i principali quadri. I pannelli si distinguono in tre gruppi. Quelli della facciata verso l’esterno della città e quindi verso la Via ideata dallo stesso imperatore. Essi celebrano l’opera compiuta per la pacificazione e lo sviluppo delle province. Quelli della facciata interna, verso il centro storico, alludono alle benemerenze acquisite verso Roma: i due che ornano il fornice ricordano i rapporti con la stessa Benevento ma “la loro lettura va fatta cominciando da questi ultimi per passare sulla facciata opposta e seguirne la successione, da sinistra verso destra, di piano in piano. Si ha così, infatti, una rigorosa successione cronologica dei fatti celebrati, che tuttavia in questa sorta di narrazione continua sono presentati da tante pagine a sé sulle facciate, dove essi costituiscono due distinti capitoli”[12].
Nel fornice a sinistra è rievocato il sacrificio celebrato da Traiano nel 109 a Benevento in occasione dell’inaugurazione della nuova strada. Dinanzi alla personificazione di Ordo e Populus in nome del Senato e del Popolo romano, l’imperatore in funzione di pontefice massimo e circondato dai sacerdoti, sacrifica un giovenco sull’ara. A destra è il ricordo dell’estensione nel Sanniio, avvenuta nell’anno 101, dell’Institutio Alimentaria voluta da Nerva per aiutare i fanciulli poveri e nello stesso tempo agevolare l’agricoltura: quattro matrone con corone turrite sono la personificazione di Benevento e delle aggregate città di Caudium, dei Liguri Bebiani e Corneliani (ormai scomparse) assistono alla distribuzione di alimenti a fanciulli e loro genitori davanti allo stesso imperatore. In un altro pannello sulla facciata esterna c’è la scena della pacificazione con i capi dei Germani, avvenuta quando Traiano ricevette la notizia della morte di Nerva; in un corrispondente pannello si vede Traiano in toga, seguito dai suoi comandanti e dai littori, che incontra con Ercole e due personaggi, uno con un cavallo alla briglia e l’altro con un grosso cane (interpretazione difficile, forse la sottomissione delle regioni danubiane). Su due pannelli della fronte opposta è rievocato l’ingresso in Roma del nuovo imperatore nell’estate 99 accolto dal prefetto della città. Più avanti, sul pilone destro, si vede la celebrazione della citata legge alimentaria per la sua estensione all’intera Italia: affiancato da due virtù (Indulgentia e Felicitas) Traiano presenta alla città di Roma, affiancata da Marte, un bimbo e una fanciulla davanti alla terra arata. Nel pannello della fronte opposta è il ricordo dell’affidamento di terre ai veterani nelle regini del Reno e del Danubio. Un capitolo particolare riguarda le vittoriose imprese delle guerre daciche con scene che rincorrono tutto il perimetro sopra la trabeazione dell’arco. Al centro della fornice appare l’incoronazione di Traiano, ed è questo l’unico rilievo in cui l’imperatore porta una veste militare.
Scolpite sul marmo sono dunque resi memorabili gli atti più rilevanti del duce romano che aveva soggiogato la Dacia, aveva concesso diritti umani ai popoli alleati, aveva costruito opere pubbliche a beneficio dell’intero Impero. La descrizione dei pannelli marmorei funge da superbo testimone. Da rilevare che il monumento ci è pervenuto sostanzialmente integro, rendendo ancora leggibili la lunga sequenza dei rilievi scultorei che ne coprono la superficie.
Non a caso studiosi e viaggiatori di ogni tempo ne restavano incantati. Possiamo citare soltanto alcune tra le più significative interpretazioni.
Giovanni Battista Pacichelli: “La famosa Port’Aurea, già di marmi dorati, è la più venerabil memoria di Benevento, quantunque disfatta, dall’uno e dall’altro lato della quale, arco de’ cesari trionfi”[13].
Giovanni de Nicastro: “Devesi l'Arco ammirare siccome appunto da tutti si ammirano le grandi ossa dei giganti, devesi rivivere con lo stupore e quasi adorare col silenzio. Deve considerarsi che forse questa gran mole non fu mai in tanta venerazione come si è al presente, anzi, ella sarà sempre più venerabile e venerata nei secoli avvenire” [14].
Luigi Vanvitelli: “Dentro Benevento si vede un arco fatto a Traiano, il quale è oltremodo bellissimo, pieno di bassorilievi di ottima anzi eccellente scultura. La barbarie dei tempi vi ha fatto fabbricare dentro questo arco superbissimo la porta della città, onde con i muri sono dimidiati gli bassorilievi interni che fa pietà a vederli così maltrattati”[15].
Cardinale Domenico Bartolini: “Di tutti gli archi di trionfo dell’antichità, questo di Benevento era il più nobile a giudizio degli intendenti, e per la ragione che superava tutti gli altri nell’eccellenza e bellezza del lavoro, come l’oro supera gli altri metalli”[16].
Ferdinand Gregorovius: “L’oggetto del massimo orgoglio de’ Beneventani è l’Arco di trionfo in marmo di Traiano, veramente in questo genere di monumenti uno dei più splendidi che esistano. Già per il periodo artistico cui appartiene ha forme più nobili che non gli archi di Settimio Severo e di Costantino a Roma. Vero è che per le sculture, d’altronde eccellenti, non può competere con l’arco di Tito il quale evidentemente è servito di modello ma, a dispetto di quest’ultimo, ha il pregio di essere meglio conservato”[17].
Amedeo Maiuri: “L’arco è in mezzo a un ciottolame come se fosse stato invaso dalla piena di un fiume; sono le demolizioni dei fabbricati che ancora l’assediano. Si è liberato dalle muraglie e dalle casettuccie che gli si erano stretti ai fianchi, da quando nel Medio Evo da caput viae l’avevano trasformato in porta di difesa della città murata. Si è tolto finalmente il fardello lercio di qualche abituro e quello più odioso di qualche presuntuosa casetta borghese; ha completato oggi quel che aveva iniziato un papa italiano, Pio IX, ed ora eccolo libero e solo nella sua trionfante bellezza di marmi e di sculture affacciarsi sulla prima lunga tesa della nuova via che l’imperatore aveva voluto costruire per abbreviare il cammino verso l’adriatico l’Epiro e l’Oriente”[18].
Roger Peyrefitte: “L’arco è il più meraviglioso d’Italia e importa poco se uno dei suoi bassorilievi rappresenti la conquista della Dacia o della Mesopotania, la deduzione di una colonia di veterani o la composizione di una questione ereditaria, e un altro rappresenti i provvedimenti di Traiano nei riguardi del commercio o un’incoronazione trionfale”[19].
Guido Piovene: “Il più bello e armonioso degli archi romani esistenti, più bello di quelli di Roma. Ed è anche un arco stranamente moderno, poiché si vede nei bassorilievi Traiano dedito ad opere sociali ed assistenziali”[20].
Mario Rotili: “Tra le strutture architettoniche ed i rilievi si realizza nell’opera una perfetta fusione che la rende quanto mai bella e solenne... (imponendosi come) il più perfetto esemplare dell’architettura e della scultura traianea ed il più insigne monumento del genere”[21].
Nel corso dei secoli, ovviamente, il monumento subì manomissioni e offese strutturali. Cominciarono i longobardi - veri specialisti nell’utilizzo di ogni materiale lapideo rintracciato all’interno e nelle adiacenze del municipium romano - inglobandolo lungo il lato orientale della cinta muraria quasi a protezione dell’antica chiesa di Sant'Ilario (restaurata di recente ed utilizzata quale “video museo” dello stesso arco) [22]. Quindi divenne una delle otto porte di ingresso alla città, punto mercantile per i prodotti dei contadini e casello daziario. Per tale motivo venne dotata di cancello sotto il fornice e di sbarramenti murari ai lati. Grazie alla sua solida struttura, il monumento superò indenne i più gravi terremoti a cominciare da quello terribile dell’anno 369 e da altri sismi. Diversi furono i restauri resi necessari per sopperire ai danni del tempo e della natura: sono segnalati quelli disposti da Urbano VIII, quindi nel 1661 e nel 1792. In particolare nel dicembre 1713, il consiglio cittadino dovette stanziare la somma di 212 ducati per ripristinare l'architrave di marmo che serviva da battente alla porta; Nel 1850, in occasione di una visita di papa Pio IX, per suo ordine, l'arco venne isolato abbattendo le case che vi si erano addossate. Dopo le devastazioni della seconda guerra mondiale, l’Arco risalta in fondo ad una nuova breve strada che lo esalta sotto il profilo urbanistico e lo rende visibile dall’attuale decumano principale della città.
Nelle immagini: L'Arco di Traiano a Benevento in due famose stampe firmate da Gian Paolo Pannini (1691-1765) e da Giovanni Battista Piranesi (1772-1778).
[1] “Quando mi capita di osservarlo in talune ore di prima mattina oppure al tramonto, mentre i raggi del sole lo colpiscono diagonalmente con pallido chiarore o con rosea tenuità, il blocco marmoreo riverbera una tale levità da dare l’impressione di scomporsi: le figure togate risaltano e sembrano scivolare dai pannelli quasi intendessero porsi in mezzo ai cittadini per discutere affari comuni e culturali o rassicurare su fatti economici in tempo di pace. Sono sculture vive, perenne testimonianza di una civiltà latina che si rinnova ma non muore mai” (Giacomo de Antonellis, L’Arco di Traiano in un originale disegno, sulla rivista “Samnium”, anno LXXIII, gennaio-settembre 2000, pag. 27).
[2] G. de Nicastro, Beneventana Pinacotheca, ex Archiepiscopali Typographia, Benevento 1720. Traduzione: “Ma ciò che espresse il massimo decoro e ornamento in Benevento, è quel ... celebre Arco, proclamato Porta Aurea, nobile trofeo, che fino ad oggi attira su di se l’ammirazione dei forestieri e dei cittadini”.
[3] G. de Vita, Thesaurus Antiquitatum Beneventarum, ex Typographia Palladis, Roma 1754. Traduzione: “È una cosa di sicuro degna e da lungo tempo accettata da tutti, quale opera originale, e quindi apprezzata in rispetto del suo autentico valore, e a giusta ragione assunse il nome di Porta Aurea diventando mirabile sicché in tutto il mondo terreno si volge lo sguardo con ammirazione”.
[4] Di nascita iberica, Marco Ulpio Traiano (53-117 dopo Cristo) si introdusse giovanissimo nella migliore società di Roma seguendo, quale patrizio, un cursus honorum per accedere alle cariche pubbliche. Dopo alcune esperienze diplomatiche e militari in Siria, territorio sul quale il padre Marco senior esercitava il potere, nell’anno 68 egli assunse il governatorato nella Germania Superiore che si estendeva tra i fiumi Mosella e Reno. Alla caduta di Diocleziano (96 d. C.) si avvicinò politicamente al nuovo imperatore Marco Cocceio Nerva conquistandone l’animo fino a farsi adottare quale co-reggente dello Stato. Si trovò così, con la morte di Nerva dopo appena due anni, ad essere proclamato guida dell’Impero mentre si trovava in terra germanica, precisamente a Colonia Agrippina attuale Köln: preferì lasciar passare alcuni mesi prima di recarsi nella Città Eterna per assumere i pieni poteri, Entrò a Roma senza alcun fasto, superando a piedi la cinta muraria, ritenendosi soltanto un primus inter partes rispetto a consoli e senatori. Governò con saggezza attento alle opere pubbliche, alla legislazione sociale (tra cui la famosa Tabula alimentaria) e alle campagne militari nelle regioni più lontane contro i Daci ed i Parti per assoggettare gli irrequieti territori tra il Mar Nero, il Caspio e l’Eufrate. Per il suo buon governo e per la sua umiltà veniva proclamato Optimus Princeps, una fama rimasta nei secoli. Il Senato stava preparando grandi accoglienze per il suo ritorno quando la morte lo colse a Selinunte in Cilicia (sulla costa mediterranea della Turchia, di fronte a Cipro) nel 117 dopo Cristo.
[5] Quest’arco fu costruito tra gli anni 110 e 116. Venne eretto per celebrare l’ampliamento del porto, essenziale per i traffici con l’Oriente, ed è in marmo bianco estratto dalle cave dell’isola di Marmarica oggi in Turchia. Si conserva perfettamente in vista del litorale adriatico, sotto il colle di Guasco sovrastato dal Duomo che onora San Ciriaco. L’opera, pagata dall’imperatore a proprie spese, ha forma snella e fornice alto.
[6] Detta anche Porta Varrone, in memoria del console Gaio Terenzio sconfitto nel 26 a. C. da Annibale a Canne, quest’opera è situato sulla strada che collega l’abitato alla Via Traianea. Risale all’anno 109. Il manufatto è in laterizio, a forma di arco alto 13 metri, con unico fornice: un tempo era certamente rivestito di marmi, almeno in parte, perché di essi si conserva nel locale Museo un frammento che rappresenta un vinto guerriero dacio.
[7] L’arco di Mactaris, oggi Maktar in Tunisia, risulta dedicato chiaramente a Traiano come attesta una lapide ancora leggibile che ringrazia l’imperatore per aver concesso la cittadinanza romana alla popolazione della Numidia. Sorse nell’anno 116, ha fornice unico con due semicolonne sul frontespizio e fregi con iscrizioni..
[8] A Timgad, a 35 chilometri da Butna sui monti Aurès in Algeria, fu fondata da Traiano nell’anno 100 una Colonia Marciana Ulpiana che in seguito i berberi chiamarono Thamugadi prima di assumere l’attuale nome. L’arco si trova sul decumano massimo della cittadina, è alto 12 metri, ha tre fornici con quello centrale di 6 metri. Restaurato nel secolo scorso si conserva abbastanza bene. Dal 1982 l’Unesco l’ha dichiarato “patrimonio dell’umanità”.
[9] Architetto e scrittore romano, nonostante il nome, vissuto tra il 50/60 e il 130 d. C., a questo artista si fa riferimento anche nel caso dell’Arco in Ancona.
[10] “Imp Caesari Divi Nervae filio / Nervae Traiano Optimo Aug / Germanico Dacico Pont Max Trib / Potest XVIII Imp VII Cons VI P.P. / Fortissimo Principi Senatus P.Q.R.” che significa “All’imperatore Cesare, figlio del divino Nerva / Nerva Traiano Ottimo Augusto / Germanico, Dacico, Pontefice Massimo, Tribuno / (eletto per anni) XVIII, Imperatore, (per anni) VII Console, (per) VI (volte) Padre della Patria / al Potente Principe il Senato e il Popolo Romano (dedicarono questo monumento)” I due aggettivi della terza riga fanno riferimento alle vittorie riportate sui popoli dell’Europa settentrionale e orientale.
[11] Nella Commedia di Dante, l’imperatore Traiano trova spazio in tre diversi momenti. Nel Purgatorio ove accetta la leggenda secondo la quale il romano sarebbe stato risuscitato da papa Gregorio Magno per toglierlo dalla condizione di pagano e adoratore di false divinità (X, 73-75) e nel Paradiso con l’episodio della vedovella consolata (XX, 43-48) e successivamente con l’elogia della sua anima gloriosa (XX, 100-117).
[12] Testo tratto dalla Guida d’Italia. Campania, Touring Club Italiano, Milano 1981, dove troviamo una meticolosa descrizione dei pannelli. Maggiormente dettagliata è la Guida all’Arco di Traiano compilata da Gianni dell’Aquila, per i tipi di Realtà Sannita, Benevento 2005, che illustra pezzo per pezzo la composizione dello storico monumento.
[13] G:B. Pacichelli, Memorie dei viaggi per l’Europa cristiana, Raillard, Napoli 1685.
[14] G. de Nicastro, Descrizione del celebre Arco, Tipografia arcivescovile, Benevento 1723.
[15] L. Vanvitelli, Lettere 1751-1758 dalla Reggia di Caserta al fratello Urbano in Roma (a cura di Franco Strazzullo), Congedo editore, Napoli 1976.
[16] D. Bartolini, Viaggio da Napoli alle Forche Caudine ed a Benevento, Stamperia Francese, Napoli 1827.
[17] F. Gregorovius, Wanderjahre in Italien, Lipsia 1856-1877 (Pellegrinaggi in Italia, traduzione di Alessandro Tomei, Ricciardi, Napoli 1930).
[18] A. Maiuri, Passeggiate campane, Sansoni, Milano 1957.
[19] R. Reyrefitte, Du Vesuve à l’Etna, Parigi 1953 (traduzione italiana a cura di Sestilio Montanelli, Leonardo da Vinci, Bari 1954)..
[20] G. Piovene, Viaggio in Italia, Mondadori, Milano 1957.
[21] M. Rotili, L’arte nel Sannio, Ente provinciale del turismo, Benevento 1952. Rotili è anche autore di uno studio sul monumento, molto accurato e dotato di ampia iconografia, per conto dell’Istituto Poligrafico dello Stato di Roma che lo pubblicò nel 1972 sotto il titolo di L’Arco di Traiano a Benevento.
[22] La chiesa di Sant'Ilario ha una semplice pianta rettangolare, con abside semicircolare. Sull'edificio si elevano due torrette di diversa altezza. Vi sono due ingressi, il primo guarda l'Arco di Traiano, l'altro si trova nell'abside. L'interno, non pavimentato per consentire la visione delle strutture sottostanti la costruzione, attualmente è spoglio: una passerella consente l’attraversamento. Il monumento, acquistato e dalla Provincia, ospita un videomuseo che illustra gli eventi beneventani collegati al vicino Arco. L'edificio si trova in un prato recintato, digradante verso nord, circondato da rovine, probabilmente del monastero un tempo annesso alla chiesa. Essa è di origine longobarda (VI-VII secolo) ma costruita su rovine precedenti. Trasformata in casa colonica, soltanto negli anni Venti venne individuata come tempio e avviata alla riqualificazione conclusa nel 2003.