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Pubblichiamo un estratto dal Libro décimo. Fragmentos de la época del Apocalipsis (2005), ultimo tomo della Decalogía o Saga del Apocalipsis di padre José Antonio Fortea, che ringraziamo per aver messo a disposizione il suo scritto (cfr. http://www.fortea.ws/), particolarmente interessante per i suoi aspetti giusfilosofici.

La proposta 37

di Padre José Antonio Fortea

15 ottobre 2198.

Sul display del pilota dell’aereo del senatore Ullendorf si accese un piccolo indicatore giallo: stavano entrando nel settore 4 del Foro di Roma. L’aereo entrò in un corridoio aereo limitato. Davanti agli occhi del pilota, rilassato ma attento, i grattacieli di otto grandi multinazionali si alzavano fino a toccare le nuvole. Queste otto megastrutture scalavano il cielo, mostrando Urbi et Orbi la potenza delle società che le avevano erette. Quel gruppo di edifici, come un gruppo di cime che si ergono in mezzo alla foresta di grattacieli, erano un monumento a se stessi.

Il bacio di Tosca

Dittatori e Cibo: Ecco Cosa Mangiavano Hitler, Stalin e gli Altri -  Smartweek

A Don Marco Mascia, ispiratore

– Posso domandarle, Altezza, che cosa ha provato durante la famosa visita di Hitler a Napoli?

L’ex regina non rispose immediatamente, ma aspirò a lungo da una sigaretta e quindi emise una densa nuvola di fumo, nella quale fissò lo sguardo senza mai cercare quello dell’interlocutore.

– Sono stata costretta a pranzare con lui, addirittura a sedermi alla sua destra (che in teoria sarebbe dovuto essere un grande – anzi un enorme – onore) e per tutto il pranzo ho tenuto lo sguardo fisso sulle mie stoviglie per evitare di guardarlo, di incrociare i suoi occhi. Le poche volte in cui non ne ho potuto fare a meno, lo ho trovato ripugnante. Per sentirmi occupata, continuavo ad accarezzare il coltello alla destra del piatto: se fosse stato più acuminato – mi dicevo – avrei potuto cercare di ucciderlo.

Guardava le volute grigiastre che si andavano dissolvendo, quasi a voler scrutare l’evolversi di un possibile passato alternativo, come si cerca di discernere l’orizzonte – già ben noto – in una giornata brumosa. Chissà quante volte aveva ripensato a quella possibilità!

– Se così fosse stato, avrei salvato il Paese dallo sciagurato ingresso in guerra. Avrei salvato milioni di vite in Europa. E la monarchia in Italia.

Nel 1730, prima che iniziasse il conclave che avrebbe eletto Clemente XII, apparve un poemetto satirico in cui si descriveva una immaginaria partita a scacchi tra il cardinal Coscia e il cardinal Corsini futuro papa.

Il componimento anonimo, contenuto in un manoscritto conservato presso la biblioteca di Rouen, è stato riscoperto e pubblicato a cura di Gianandrea de Antonellis, assieme ad una una lettera dell’Imperatrice Maria Teresa, anch'essa inedita, inviata al porporato beneventano.

Pubblichiamo in allegato il poemetto apparso sul n. 2 della rivista "Quaerere Deum" (2010).

 

Giacomo de Antonellis

Giovanni Francesco Coppola beneventano, chi era costui?

Per pura casualità, nel corso di letture sparse sulla vita sannita, ci siamo imbattuti in una pubblicazione con polvere di quasi tre secoli (datata 1743 per l’esattezza) che però ha suscitato un’immediata attenzione grazie all’accattivante titolo: Poema eroico ed istorico in lode della Città di Benevento. Un testo di vago coinvolgimento nel quale sono assemblati eventi, tempi, persone, riti e costumi tratti dalla realtà come dalla fantasia. Di qui un’immediata curiosità che ci ha spinto a cercare particolari del tessuto letterario e il quadro biografico dell’autore siglato sul frontespizio, vale a dire tale Giovanni Francesco Coppola, nome peraltro di scarsa reperibilità nei repertori poetici e nelle antologie letterarie del recente passato. Lo stesso cognome indicava l’appartenenza degli avi ad una categoria di produttori o mercanti di un capo d’abbigliamento, escludendone la provenienza da elevate schiatte. Una figura di livello marginale, insomma, tanto da essere ignorata nelle antiche cronache e risultare altrettanto trascurata dalla moderna critica.

Era un pomeriggio domenicale e il tè aveva abbondantemente superato i cinque minuti di infusione. La dottoressa Angeli poggiò sul tavolino il romanzo di Ray Bradbury e si versò una tazza di Irish Afternoon, che macchiò con abbondante latte e addolcì con due cucchiaini colmi di zucchero. Dopo aver bevuto alcuni sorsi si alzò dalla poltrona per dirigersi verso la finestra. Il tempo era oscuro – ella adorava il grigiore del cielo e delle nuvole – e le foglie cadute dai rami sul selciato venivano spazzate dal vento, unico movimento nella via deserta.

Contemplò il volume sul tavolino: quante volte lo aveva letto! Conosceva quasi a memoria alcuni passaggi, tanto che se le capitava di scorrerlo durante il crepuscolo era capace di continuare anche quando il buio era calato – un po’ come Cirano con la lettera di Rossana – per non doversene staccare mentre andava ad accendere la luce.

Disceso da un treno proveniente da Milano via Roma, el scior Barometro Battistino si guardò attorno nella speranza di assistenza. Niente. La banchina numero 3 era ormai deserta. Allontanatisi i pochi e frettolosi viaggiatori si era dileguato anche il ferroviere di servizio. Il bagaglio non era pesante; ma notando un ascensore il viaggiatore pensò di utilizzarlo premendo più volte il pulsante ahimè senza riscontro. Di animo sereno e di fisico prestante – lumbard integrale – stimò possibile scendere e salire con le scale. Uscì all’esterno quando ormai imbruniva e soprattutto pioveva: forte del proprio cognome, l’imprevisto non lo turbava. Vide una rigogliosa fontana e si consolò, vide un paio di clochard sdraiati sotto la pensilina e si commosse, vide una generosa pubblicità di liquori e si rianimò. Purtroppo non scorse alcun mezzo di locomozione. Cercò allora un approccio con l’ufficio informazioni con esito negativo. Un edicolante gli spiegò che sì, un tempo, autobus e taxi stazionavano sul piazzale ma ciò era cessato perché la nuova urbanistica privilegiava l’estetica effimera rispetto ai servizi necessari: con gentilezza gli indicò poi un strada laterale dove (forse) avrebbe trovato un’auto pubblica e magari (nonostante l’orario) persino un autobus di linea.

Quel sabato mattina il cielo grigio non rendeva giustizia alla bellezza dei passaggi che don Pedro Cucaracha attraversava per recarsi, come ogni mese, in una cittadina campana per tenere una conferenza ai membri del gruppo di preghiera laicali “Il Tuo Regno”. Il sacerdote, di origini messicane, era un influente membro dei Missionari della Verità: potente – ancorché chiacchierata – congregazione sacerdotale messicana, da cui dipendeva un istituto universitario capitolino di recente costituzione di cui don Pedro era rettore. Anzi, per sottolineare la propria autorevolezza, era uso portarsi dietro, in quel viaggetto che durava praticamente un’intera giornata, una piccola “corte”, di cui i più assidui erano don Gabriele Faraona ed il professor Pietro Sorbetti.