Giovanni Francesco Coppola beneventano, chi era costui?

Scritto da 

Giacomo de Antonellis

Giovanni Francesco Coppola beneventano, chi era costui?

Per pura casualità, nel corso di letture sparse sulla vita sannita, ci siamo imbattuti in una pubblicazione con polvere di quasi tre secoli (datata 1743 per l’esattezza) che però ha suscitato un’immediata attenzione grazie all’accattivante titolo: Poema eroico ed istorico in lode della Città di Benevento. Un testo di vago coinvolgimento nel quale sono assemblati eventi, tempi, persone, riti e costumi tratti dalla realtà come dalla fantasia. Di qui un’immediata curiosità che ci ha spinto a cercare particolari del tessuto letterario e il quadro biografico dell’autore siglato sul frontespizio, vale a dire tale Giovanni Francesco Coppola, nome peraltro di scarsa reperibilità nei repertori poetici e nelle antologie letterarie del recente passato. Lo stesso cognome indicava l’appartenenza degli avi ad una categoria di produttori o mercanti di un capo d’abbigliamento, escludendone la provenienza da elevate schiatte. Una figura di livello marginale, insomma, tanto da essere ignorata nelle antiche cronache e risultare altrettanto trascurata dalla moderna critica.

 

Con la testardaggine di chi non si arrende di fronte agli ostacoli, questo nome è finalmente saltato fuori per singolare ventura scorrendo il Dizionario bio-bibliografico del Sannio di Alfredo Zazo  (Fausto Fiorentino editore, Napoli 1973) ove appare incidentalmente citato in una “voce” riguardante il nipote Mario Coppola, “novatore” del secolo XVIII distintosi in campo imprenditoriale, sociale e politico con l’adesione alla Municipalità repubblicana del 1799 (tra parentesi, una posizione che, ripristinata la sovranità pontificia, gli costava l’esilio e il sequestro dei beni patrimoniali fino all’avvento del Decennio francese una decina di anni più tardi). Suo zio, Giovanni Francesco Coppola per l’appunto, apparteneva invece ad un’altra epoca, visto che aveva vissuto nella prima parte del Settecento ed aveva maturato la mentalità di un secolo non ancora percorso da fermenti rivoluzionari, nel Beneventano ovviamente.

 

Con tutta probabilità questo Coppola apparteneva a quel ceto medio che andava sviluppandosi con la burocrazia vaticana. Certamente aspirava a un livello sociale superiore e, dopo gli studi, aveva preso a frequentare gli ambienti intellettuali della città ove non mancavano le accademie letterarie e gli aspiranti poeti che si riunivano per leggere i propri scritti e per dibattere temi culturali. Negli anni giovanili, per guadagnarsi un appannaggio esistenziale, egli aveva operato nella corte di monsignor Baldassarre Cenci “il Giovane” (Roma, 1710-1763) il quale – espletando la carica di governatore dell’enclave pontificia – si era guadagnato meriti con la sistemazione delle finanze della comunità sannita durante il biennio di servizio tra il 1738 e il 1739: nel tempo il Coppola era rimasto fedele al suo datore di lavoro. E tale atteggiamento si ritrova appunto nella Lettera dedicatoria rivolta dal Poeta beneventano al Prelato quando costui, ormai rientrato in Vaticano, aveva assunto l’ufficio di Uditore presso il tribunale della Segnatura di Giustizia. In questa dedica il Coppola attestava a chiare lettere la propria riconoscenza per essere stato “innumerevoli volte benificato”. Due parole sul Cenci. Il suo affetto nei confronti di Benevento fu tale al punto che, nel testamento, dispose che il proprio cuore venisse conservato nel reliquiario del Duomo. Regnando papa Clemente XIII, nel 1761 l’ex governatore doveva poi ricevere la porpora cardinalizia così come nel 1695 la stessa onorificenza aveva ottenuto il suo omonimo parente, Baldassarre Cenci, indicato pertanto come “il Vecchio”.

Nell’ambito cittadino, tuttavia, Giovanni Francesco Coppola godeva il rispetto dei concittadini: egli amava fregiarsi del titolo di “poeta”, coronato da fronde lauretane, in guisa da sentirsi innalzato rispetto alle “applicazioni di un impiego onorevole sì ma pur faticoso” come lo stesso sottolineava non senza schietta civetteria nella prefazione al Poema. Nella stesura dei suoi canti l’Autore seppe utilizzare tutte le classiche regole della metrica puntando in larga misura sulla stanza da 13 versi e sull’ottava, e in tono minore sulla sestina e sui sonetti: evidentemente si confrontava con altri operatori nell’arte poetica, soprattutto amici e tra questi possediamo i nomi di Domenico Bucci, Domenico Spina e Michele Linguito che si associarono con entusiasmo nell’elevare lodi del collega a complemento del volumetto. A questo punto conviene segnalare che in quell’epoca Benevento viveva anni di fuoco. Sotto il profilo politico la città era ancora scossa dalla fiammata ribelle di Matteo De Caterina (detto Cecchetella), uomo di bassa lega che pretese di comandare la municipalità, prima dell’arresto e dell’imprigionamento in Roma; sotto l’aspetto culturale, invece, giganteggiava la personalità di Giovanni De Vita, canonico della cattedrale, rettore del seminario, avvocato della Curia, profondo studioso di archeologia e storia locale, collaboratore degli arcivescovi Francesco Landi (piacentino, 1733-1752) e Francesco Pacca (beneventano, 1752-1763). Nel 1743, quando avvenne la stampa della sua opera, sembra che il Coppola contasse poco meno di 40 anni, viveva in una propria casa e possedeva denaro sufficiente per trasferire in un volumetto il frutto delle sue divagazioni letterarie. A spese dell’interessato, forse confortato da qualche collega. A parte ciò, non risulta alcuna altra notizia sulle cadenze biografiche e sull’attività del nostro poeta: niente di rilevante sulla sua vita privata e su altre (eventuali) opere, e meno che mai indicazioni sulle date di nascita e di morte.

L’Ode a Benevento

Analizziamo alcune peculiarità del Poema. Per realizzare la sua fatica letteraria il Coppola si avvalse della Stamperia Arcivescovile voluta dall’Orsini sin dal 1693 all’interno del palazzo episcopale (ma ai primi del nuovo secolo si era già trasferita nel Vicolo della Stamperia presso il Palazzo del Seminario). Ne scaturì un’operetta in 8°, pagine numerate 146, rilegatura in pergamena giallina con occhiello manoscritto lungo il dorso, ma non privo di mende tipografiche e persino (nell’esemplare da noi consultato) con un capolettera in senso obliquo, ciò nonostante la perizia tecnica del titolare Berardino Gessari e di suo figlio Angelo. Come sottolineato in precedenza, di questa opera hanno fatto cenno soltanto lo storico Zazo e il suo collaboratore Salvatore Basile, il quale era anche direttore della Biblioteca provinciale “Mellusi”, nel corso di un saggio apparso sulla rivista «Samnium»in tre parti (luglio-dicembre 1978, gennaio-giugno e luglio-dicembre 1979) dal titolo Edizioni beneventane del Settecento. Non risultano altri approfondimenti. A margine, dobbiamo annotare che il Poema probabilmente venne stampato in numero alquanto ridotto di copie considerata la sua scarsa sopravvivenza nel patrimonio librario pubblico in Italia. Ne abbiamo trovato appena sette esemplari: rintracciabili, per la precisione, nei cataloghi di Benevento (presso il Museo del Sannio, nel Fondo Piccirilli con registro S.C. 2678 della Biblioteca provinciale, nella Biblioteca Capitolare), alla Biblioteca comunale di Bitonto “Eustachio Rogadeo”, a Napoli (sugli scaffali della Fondazione Croce, mentre non risulta alla Nazionale) e per finire alla Biblioteca Nazionale Centrale BNCR e all’Accademia di San Luca in Roma.

Ci sembra opportuno passare all’esame del volumetto partendo dallo specimen dell’opera, a seguire qualche dettaglio sulle caratteristiche della struttura metrica, e infine la lettura di alcuni squarci di questo praticamente inedito Poema.

 

Giovanni Francesco COPPOLA beneventano

Poema eroico ed istorico in lode della città di Benevento

dedicato con singolarissimo ossequio all’impareggiabile merito dell’illustrissimo e reverendissimo

Monsignor D. Baldassarre Cenci

uditore della Segnatura di giustizia in Roma

Stemma dell’arcivescovo Landi (cappello con sei fiocchi laterali, arma con bande segnate da palle bianche e nere)

Pagine numerate 146

In Benevento nella stamperia arcivescovile nel 1743 con licenza de’ Superiori

 

Sommario ovvero Schema della materia trattata

Dedica a Monsignore Cenci (già governatore di Benevento nel biennio 1738-1739)

Avvertenza L’Autore, a chi legge

Il testo poetico prende inizio alla pagina 14

Sonetto introduttivo Al leggitore, con rima alternata ABAB ABAB ACA CAC

Ottava per illustrare l’argomento (tra le materie trattate: Forche caudine, vendetta di Silla, discesa dei Longobardi, Sicone e le spoglie di San Gennaro, Benevento sotto i Longobardi)

Primo Canto: Ottave LXXV, rima alternata per i primi sei versi con il piede a rima baciata ABABABCC

Secondo Canto: Ottava introduttiva per illustrare la materia (nella quale si disserta su Medio Evo e sovranità papale, Rettori e cittadini, ruolo di Federico Barbarossa, scontro cruento tra Costantino e Gesualdo alias Angioino e Svevo)

A seguire: Ottave LXXXVII, con rime alternate secondo lo schema del primo canto

Componimenti autonomi

Canzone prima dedicata A Stazio Sannite Senatore condannato a morte da Marcantonio, Ottavio e Lepido

Stanze IX da 13 versi con rime incatenate ABBCACDDCEEFF

Canzone seconda dedicata Al dottissimo giureconsulto Emilio Paolo Papiniano beneventano

Sestine XIII con rima alternata e piede a rima baciata ABABCC

Canzone terza dal titolo In lode di San Fotino primo vescovo beneventano

Ottave XVI con rime alternate e baciate ABABCCDD  

Canzone quarta dedicata A tre Sommi Pontefici Beneventani: Felice IV, Vittore III, Gregorio VIII

Sestine XVIII con rima alternata e piede a rima baciata ABABCC

Sonetto dedicato In lode di San Gennaio Cittadino e Vescovo Beneventano e Martire

Testo poetico con quartine a rima incrociata e terzine a rima alternata

Canzone dedicata Ai dodici Fratelli Martiri morti in Benevento (Erano tutti atleti sanniti, convertiti al cristianesimo e diventati martiri in circostanze ignote e non spiegate dall’Autore)

Stanza da 13 versi con rime incatenate ABACBCADDEEFF e Sestina finale con rime alternate e piede a rima baciata ABABCC

Il fine a pagina 134

Segue un’Appendice da pagina 135 a pagina 146, contenente tre testi poetici di altri autori:

Si commenda l’Autore per lo poema eroico in lode di Benevento con quello Anacreontico di Domenico Bucci

Sestine XX con rime incrociate e piede a rima baciata ABBACC

Del Signor Don Domenico Spinucci in loda dell’Autore

Sonetto con rime alternate e incrociate ABAB ABAB CDC EDE

Del Dottor Michele Linguito in loda del Poeta Autore

Sonetto con rime alternate e incrociate ABAB ABAB CDC DCD

A conclusione appare una Nota per il Lettore (Errori - Emendali)

 

Passiamo a questo punto all’esame di qualche passo del testo, tratto appunto dalla sua originale stesura a stampa. Allo scopo abbiamo selezionato sette brani poetici (Sonetto di apertura a carattere fortemente retorico come d’uso secondo il modello barocco, Ottava sull’argomento, due Ottave di invocazione alla Vergine e due Ottave sulla nascita di Benevento, Sonetto in lode di San Gennaro) accanto alla nota esplicativa, che si trova in apertura ad uso diretto dei lettori, dalla quale si possono dedurre alcune essenziali informazioni.

 


Al leggitore. Sonetto

Saggio Lettore, a cui si fa d’avante

novello fior di quelle basse rime

a saldo il cor d’intrepido diamante

umil di detto, al venerar sublime,

Se nel pensar tal’uno all’età infante,

o del novel Poeta l’opre prime,

tentasse ardito di drizzar le piante

contro quel, che’l suo verso in carte esprime.

Pregoti o chiunque sei pur stravagante

Mostro d’alto sapere, e a tanta offesa

sciogli la Penna gracile, e sonante;

piacciati se non vuoi alla difesa,

temendo l’armi di lasciar infrante

la bella pace sua lasciare illesa.

 

Ottava che illustra l’Argomento

Alti natali de la Patria antica,

che in ogni tempo fu troppo stimata,

di ricchi freggi [fregi] e di trionfi amica,

di rare gesta e di virtude ornata

Canto a chi fu compagna, a chi nemica,

e come pria dall’armi fue fiaccata

restò di Roma la potenza; e addito

come a quella fidossi, e al suo partito.

 

Canto primo

 

Ottava I. Invocazione alla Vergine Maria

 

Al primo suon della mia rozza Lira

Io non imploro, o Muse, il vostro aiuto;

abbiasi pur chi’l vuol, chi lo desira

il furor vostro, il vostro dire arguto:

sol quella Donna, ove [cui] ogni cuore aspira

renda facondo il labbro mio già muto.

Ella prego che assista al canto, ed ella

Mi dia voce bastante, arte e favella.

 

Ottava II. Seguito della Invocazione

Vergine eccelsa, a cui corona in fronte

forman le Stelle, e di splendor vestita,

d’ogni perfetto don[o] perenne fonte,

da cui ogn’alma al ben oprar s’invita:

Tu degli [dei] versi miei sii l’orizzonte

Tu sol mi assista, e tu mi porga aita,

Tu rinforza l’ardir, tu la mia lena,

Tu il Plettro raddolcisci, e quella vena.

 

Ottava IV. Nascita di Benevento

L’alma Città, di cui le glorie io canto

Sortì molto famoso il suo natale,

mentre presa che fu di Troja, ed infranto

di Priamo il Regno per destin fatale:

il re Diomede Condottier, che a canto

d’ogni Campion mostrò virtude eguale

qua ritornando, a suoi arrestò il piede,

osservò il sito, e vi piantò la Sede.

 

Ottava V. Seguito della Nascita

Coll’opra de’ compagni indi le mura

incomincia ad alzar su di un bel colle,

che tra due Fiumi atti a temprar l’arsura

degli Abitanti, le sue corna estolle [solleva],

d’altre colline cinto, ù [ove] la Pastura

trovan gli armenti di fresca erba, e molle,

quindi le Case forma, i Tempi aspetta,

e fra breve divien Città perfetta.

 

 

In lode di S. Gennaio Cittadino,

e vescovo beneventano, e Martire

Sonetto

 

Tormenti e pene nel più crudo aspetto

A Gennaio venite, e a poco a poco,

ne sia timor, farà per tutti il loco,

ma d’ammazzarlo non verrà l’effetto.

Entro accesa fornace abbia ei ricetto,

che la fiamma né un pelo e né manco

brugia sue vesti; se un più nobil foco

foco d’amor divin arde nel petto.

Stirin le funi i nervi, intatto resta.

Si gitti a un lion: questi l’adora,

di scure un colpo sol ei morte appresta.

Dunque Gennaio muor! Non vive ancora

se posto in faccia alla Sagrata Testa

vivo bolle il suo Sangue insino ad ora.

 

 

 

 

L’Autore, a chi legge

Giacché la Poesia, giusta il sentimento di quel gran Maestro de’ Poeti, per due principalissimi fini fu ritrovata: uno, per imbevere la gioventù di savi ammaestramenti ed indrizzarla per lo dritto sentier dell’onore; l’altro, per rendere men nojosi gl’incommodi della vita: et prodesse volunt, et delectare Poetae[1]. Se le debolezze del mio ingegno abbiano con questo picciol libretto ad ottenere questi due fini, io lo rimetto al savio vostro discernimento. Voglio però che sappiate, che per essere stato egli composto fra le applicazioni di un impiego onorevole sì, ma pur faticoso, non potrà ottenere l’intero vostro gradimento, aggiungendovi non essermi fissato di proposito a comporre perfettamente la Storia, pensando che non dovesse mai uscir alla luce del Torchio, ma fusse stato per rimanere nel più riposto angolo di casa mia; quantunque poi lo sforzo de gli amici ne abbia permessa la pubblicazione. Io so che trovarà la maldicenza vasta materia di riprenzione[2], ed a chiunque tornerà in piacere, averà largo campo di lacerar la mia stima, la quale però tengo fermissima speranza che sarà vigorosamente difesa da chi vorrà conoscere in queste rime il genio che ha l’Autore di profittare, e non dimenticarsi di ciò, che per qualche tempo fuor del Paterno  tetto ha imparato, e da voi particolarmente; a chi protesta che nel comporre ho adoperato l’autorità de gl’infrascritti[3]: cioè di Festo, Plinio, Appiano, Antonio Pio, Baronio, Stefano de Urbs, Biondo, Sabbellico, Cluer, Marino Frezza de Antoq. Status Regni, Procop. Cesarien., Tolomeo, Silio, Vincenzo Ciarlanti, Giovanne Molino, Mario della Vipera, e d’altri, e che le voci, Dei, destino, fato ed altro, sono tutte dettature della Poesia, non già volontà d’animo depravato. Vivi felice[4].

 



[1]  Traduzione: “I poeti vogliono o giovare o divertire”. Si tratta di una massima di Orazio (Ars poetica, lettera ai Pisoni) che però testualmente sostiene aut prodesse volunt, aut delectare Poetae. Appare chiaro che l’Autore citava a memoria.

[2]  Termine oramai desueto che l’Autore scrive utilizzando la zeta invece della esse. Sta per “ammonimento, rimprovero”. Si trova anche in Dante (Vita Nova, XXI): “Volontieri, l’averei domandate se non mi fosse stata riprensione”.

[3]  Intende dire “dei sottoscritti”. Qui l’Autore mette assieme una serie alquanto confusionaria di letterati e storici di ogni tempo. Precisiamo le diverse personalità: Festo corrisponde probabilmente a Rufio Festo, grammatico e storico del secolo IV, che scrisse un Breviarium rerum gestarum popoli Romani di scarso rilievo scientifico; Plinio il Vecchio (23-29 d.C.) viene ricordato soprattutto come scienziato per la sua Naturalis Historia; Appiano di Alessandria storico greco del secolo II, noto per una Storia Romana; Antonino Pio (86-161 d. C.) figlio di Adriano gli successe come imperatore; i cardinale Cesare Baronio (1538-1607) promosse gli Annales ecclesiastici e il Martirologio romano; Stefano de Urbs è figura non identificabile; Flavio Biondo (1392-1463) fu storico e umanista attento alle risorse archeologiche; il veneto Marco Antonio Sabellico (1436-1506) viene ricordato come autore delle Annotationes in Plinium; Cluer è nome non identificabile; Marin Frezza (1503-1566) giurista e bibliofilo si fece una fama con il trattato De subfeudis che lo fece inserire nella silloge sugli Antichi scrittori del Regno di Napoli; Procopio di Cesarea (secolo VI) raccontò la Storia bizantina al tempo di Giustiniano il Grande; Claudio Tolomeo (Alessandria, 100-160 d.C.) descrisse geografia e cultura dell’Impero romano; il campano Silio Italico si dedicò nel primo secolo dopo Cristo alla ricostruzione delle guerre puniche; il Ciarlanti, molisano, riscosse notorietà grazie alle sue Memorie historiche del Sannio pubblicato nel 1644, primo libro pubblicato a Campobasso; Giovanni Molino (1705-1773) fu cardinale assai attivo e discusso al tempo di Clemente XIV; Mario della Vipera (beneventano, 1566-1636) scrisse abbondantemente sulle famiglie aristocratiche, sui vescovi, sulle vicende religiose del Sannio.

[4]  Questa speranzosa chiusura ricorda da vicino quella che il cardinale Stefano Borgia (1731-1804) nelle sue Memorie istoriche della pontificia città di Benevento pose a chiusura dell’introduzione al primo volume, rivolgendosi ai lettori: “Vivite felices qui legitis”. Borgia, già delegato apostolico nell’énclave dal 1759 al 1764, aveva certamente letto il Poema che conservava tra i suoi scaffali, come si legge nel saggio di Giovanna Granata e Maria Enrica Lanfranchi, La biblioteca del cardinale Stefano Borgia, p. 168, Bulzoni editore, Roma 2008.